mercoledì 17 marzo 2010

One Best Way

Mentre scrivevo del Worst Case, credo per una assonanza o un richiamo semantico, mi è sovvenuta alla mente l'espressione One Best Way. Questa espressione significa "il modo migliore" (di fare una cosa, sottinteso). Il modo migliore è anche l'unico ed è figlio del Taylorismo. One Best Way è la soluzione ottima degli ingegneri. Si smonta, misura, ricompone il processo produttivo nel miglior modo possibile efficientando tutti i passaggi. In questo modo si escludono le sorprese. O si pensa di averle escluse. E si prepara l'avvento del Cigno Nero, che in quanto tale è, appunto, inaspettato.

Worst Case

Worst case vuol dire caso peggiore. Per la prima volta ho sentito quest'espressione all'università, quando studiavo gli algoritmi che servono a trovare la soluzione di un problema di matematica discreta, come i problemi di ottimizzazione su grafi (problemi simili a quelli che ogni navigatore satellitare risolve decine di volte al minuto per trovare la strada giusta). Il caso peggiore si ha quando, tra tutte le possibilità esistenti, l'algoritmo, per trovare una particolare soluzione, sceglie il percorso di calcolo più lungo e laborioso. Il worst case determina se un algoritmo è buono oppure no. Oppure se un problema è trattabile o no (trattabile non vuol dire risolvibile, un problema può essere teoricamente risolvibile ma richiedere risorse di calcolo troppo elevate per essere trattabile).
Perché parlare di Worst Case? Perché il Worst Case degli algoritmi e dei problemi di matematica discreta è il Cigno Nero della realtà. E' la cosa che va male, nel modo peggiore (alla legge di Murphy per farla breve), ma soprattutto che non era stata prevista. Studiare gli algoritmi obbliga a ragionare non solo sul problema e sulle modalità di soluzione ma anche sulla quantità di operazioni che un problema richiede e questo diventa a sua volta un problema. Tant'è che c'è bisogno di una teoria la cosidetta teoria della complessità computazionale.
In realtà questa teoria ha assunto importanza con l'informatica e con la necessità di risolvere i problemi matematici con algoritmi. Ma noi volevamo risolvere un problema e ce ne siamo trovati due di cui uno di ordine più astratto che dice: quanto tempo e risorse mi serviranno per risolvere il problema? E tutto questo ancora prima di metterci a risolvere un problema.
Questa domanda non ha risposte semplici ma soprattutto è estensibile a tutti i problemi che sono risolvibili con un algoritmo, ovvero con una sequenza di operazioni.
In più abbiamo scoperto che per capire quanto un problema possa essere complicato dobbiamo almeno tentare di scovare il suo cigno nero. Ma scovandolo, il cigno nero ci cambia la prospettiva: e forse il problema non ci interessa più negli stessi termini di prima.
Mah... le cose sono sempre più complesse di quello che sembrano.

domenica 7 marzo 2010

Il gatto di Cartesio

Sul Domenicale del Sole 24 Ore di qualche settimana fa (31 gennaio, per essere precisi, a p.39 in basso per esserlo ancor di più), Remo Bodei, che dell'autore del Discorso sul Metodo un po' se ne intende, ammette un errore, un abbaglio preso qualche settimana prima. A parte il fatto che l'errore è sempre dietro l'angolo, per tutti, quello che mi è piaciuto di più è la giustificazione: "...la volontà è più estesa dell'intelligenza nel desiderio di concludere un ragionamento in base agli elementi che si hanno."